Lapis and Notes



Lapis and Notes


Post Scriptum:

Welcome.
(To the Jungle).

"Gli svedesi hanno capito quello che la Scavolini ancora no. Ovvero. Che la gente comune ha 40 mt quadri per farci stare un letto, una cucina e un water. E ha sempre sognato la penisola. Poi si è ridimensionata, nel momento in cui ha realizzato un fatto.
Che i sogni si pagano al metro quadro".







mercoledì 27 aprile 2011

Quando tu guardi il mondo, cos'è che vedi?

Il film "La fine è il mio inizio" di Jo Baier, con Elio Germano e Bruno Ganz è la storia di Tiziano Terzani che, arrivato alla fine a causa di un cancro, chiama in Toscana il figlio Folco per raccontargli la sua vita.

"Allora, questa è la fine, ma è anche l'inizio di una storia che è la mia vita e di cui mi piacerebbe parlare con te, per vedere insieme se, tutto sommato, c'è un senso."

E' un film lento, lentissimo.
Volutamente così: ti costringe ad ascoltare, a porti in uno stato di quiete, di accettazione, ti costringe a fermarti un attimo, a guardarti bene bene dentro, anche se per poco, solo un infinito istante chè poi - se non sei abituato a certi pensieri, a certe sensazioni - ti viene da scappare davanti a questo sterminato, immenso Vuoto che racchiude tutto.
E il Tutto diventa una cosa sola. Un pantesimo naturalistico che traspare ad ogni delicata inquadratura, ad ogni silenzio, ad ogni sguardo del protagonista. Che rimanda a qualcos'altro, ancora da venire, tramite un passaggio che non è mai punto d'arrivo. 
Come un cerchio che si chiude, senza una fine.

Il protagonista, tramite l'elevazione al piano dell'anima, cerca e trova un modo umanamente altissimo di andarsene. Con accettazione, serenità e pace.

"Quando tu guardi il mondo, cos'è che vedi?"











martedì 26 aprile 2011

Amici Mai. Lo diceva, Antonello. (E avremmo dovuto ascoltarlo).

In un momento di particolare romanticismo, quale mi sta capitando negli ultimi dieci minuti e potrebbe durare per i prossimi sette/otto a seguire.
Pensavo.
Pensavo a cos'è che fa veramente male, a cos'è che strugge così tanto il cuore quando capita che ti accorgi di avere in testa un po' troppo spesso una determinata persona. Quando ti accorgi di un particolare feeling. Quando la zona interpersonale da distanza sociale (1,2-3,5 metri) diminuisce e diventa distanza intima (0-45 cm).
Anche se non vuoi, che ti piaccia qualcuno (chè dopo capace che vengono fuori un sacco di rotture di coglioni, in tutti i sensi -  in termini di accordi, struggimenti, ricordi, responsabilità, doveri, idealizzazioni eroiche seguite da delusioni concretizzate, accuse, malizie, rincorse, fughe, promesse, slanci vitali - e mortali, compromessi, provocazioni, compiti empatici e tecnici e via discorrendo) prima o poi devi metterlo in preventivo.
Qualcuno/a a sconvolgerti la vita, arriva. Sempre. Tranquilli.
Soprattutto quando meno lo/a si vuole, e quanto meno lo/a si cerca.

Quel qualcosa - dicevo - che fa struggere così tanto lo identifico con questo fattore: la consapevolezza dell'impossibilità di riuscire a carpire fino in fondo il mistero del suo modo di essere, di vivere, di comportarsi.
E vale per qualsiasi essere umano con cui ci troviamo anche solo a bere un caffè.
Non vi capita mai di chiedervi - nel caso in cui una persona vi interessa - chissà cosa fa, cosa pensa, cos'è che vede quando guarda il cielo, come reagirebbe a questa cosa, cosa direbbe di fronte a questa situazione....
Anche se la conoscenza assicura una probabilità minore di errore, niente è del tutto prevedibile - nessun essere umano è prevedibile. E' un sistema caotico. Il cui lavoro interiore dipende dal momento di vita, dalle aspettative, dai desideri, dalla voglia o meno di mettersi in gioco, dalla sensazione di forza o di solitudine.
Dal momento storico del proprio cuore, insomma.

(NB.Una delle caratteristiche dei sistemi caotici è l'imprevedibilità: partendo da condizioni di partenza simili, ogni volta puo' succedere tutto e il contrario di tutto. Le traiettorie di due punti contigui improvvisamente divergono e poi senza una ragione migliore del "perchè sì" tornano di nuovo vicini vicini. Come diceva una canzone, certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano.
Quanti cuori infranti ha curato il buon vecchio Antonello).

Dicevo - impossibilità di comprendere fino in fondo la vita di qualcun altro.
Non è sempre di una spudorata e dolorosa bellezza?
Per me, sì. Senza dubbio.
Il tratto di mistero, quella variabile x che non ci è dato conoscere, conosci solo y - o viceversa. Mai entrambe.
Quella linea di buio in cui si svolgono i retroscena più interessanti del vivere, che non ci è dato vedere: i complessi meccanismi del cuore intrecciati a quelli della ragione che fanno di ogni persona un essere unico e irripetibile.
Ed è proprio quando resta questo scarto, questo margine di errore, di non conoscenza, che ferve la piu' alta (e spesso poco realistica) idealizzazione di quella persona. Non abbiamo elementi sufficienti - e questa mancanza di dati, paradossalmente, basta per pensarla come vogliamo noi, a nostro rischio e pericolo.
Le attribuiamo le caratteristiche che immaginiamo possa avere, in modo del tutto arbitrario - e, ovviamente - sono tutte caratteristiche che noi vorremmo avesse. Guarda caso.
L'idealizzazione arbitraria crea aspettative fantasiose. Facilmente disattendibili - e disattese, s'intende. 
Capita che quella persona, poveretta, che noi pensavamo potesse salvare il mondo, in realtà ha paura del buio.
Noi le avevamo attrubuito un Nobel per la Pace, una medaglia d'argento (almeno) alle Olimpiadi, l'invenzione di un nuovo vaccino, un best seller da 100000 copie e tradotto in 12 lingue, una posizione attiva nella lotta per la salvaguardia delle foche, una cattedra a Palo Alto e - perchè no - un calendario illustrato di sue foto nudo/a 12 mesi fronte-retro.
Di fatto, poi si rivela incapace di coniugare un verbo. Unico libro letto negli ultimi quattro anni "3 metri sopra il cielo" in concomitanza con "Siddartha" - che fa new age. Mai praticato uno sport da quando ha imparato ad andare in bicicletta e dopo l'ora settimanale di ginnastica a scuola. Unica attività assidua identificabile con sollevamento birra - se la persona in questione è di genere maschile/andata-ritorno dall'estetista e andata-ritorno dalla parrucchiera - se la persona in questione è di genere femminile),  licenza di terza media conseguita ad honorem (per liberare il posto in un banco occupato ormai per il quinto anno consecutivo).

In sostanza, alle volte, non è poi così male tenere la distanza. Ha il suo fascino intrinseco.

Nel suo piccolo, ognuno è geloso dei taciti accordi presi con se stesso, dei rituali inutili, delle pessime abitudini, delle minuzie quotidiane, e degli sforzi di volontà. Perchè doverli smascherare a tutti i costi?
Il com'è una persona quando è sola con se stessa rappresenta cio' che esiste di piu' inconoscibile e inafferrabile, ed è proprio questa impossibilità che fa funzionare l'immaginazione, la possibilità, l'ipotesi.


E l'amore, anche?

giovedì 21 aprile 2011

Uno veramente con i Controcazzi. (O - meno volgarmente - Controcoglioni).

Domenica è stata una serata molto carina.
Di musica. In teatro.
Perlopiù gratuita.
C' è questo personaggio qua, David Rhodes - semplicemente spettacolare.
E questo personaggio - da trent'anni chitarrista di Peter Gabriel - ha suonato con la sua band al Teatro del Parco Ducale di Parma nella sesta edizione di “GONG – Rock in Progress Festival”.
Rhodes, di cui avevo sentito solo parlare, ma che non avevo mai avuto il piacere di ascoltare. Purtroppo. Fino a Domenica sera.


Rhodes ha collaborato anche con Paul Mc Cartney, the Pretenders, Talk Talk e Joan Armatrading e Battiato.
All'età di 21 anni ha fondato con David Ferguson quelli che, con Bill MacCormick, Simon Ainley e Peter Phipps, saranno i Random Hold. Ha inoltre composto e realizzato la colonna sonora del film di animazione "La gabbianella e il gatto".
Di recente ha pubblicato l’ album "Bittersweet", nato nella "factory" della Real World, ma realizzato dalla C.A.R.E.music group/bmg. Sul palco con lui si esibiranno anche Ged Lynch (P.Gabriel) e Charlie Jones (Robert Plant, Jimmy Page).

Il festival Gong nasce nel 2004 da un’idea di Gigi Cavalli Cocchi (batterista di Ligabue, C.S.I., Clan Destino, Massimo Zamboni e Mangala Vallis). Nell’arco di cinque edizioni (2004, 2005, 2008, 2009 e 2010) il festival ha riunito alcuni dei gruppi più significativi della scena del nuovo rock progressivo e alternativo italiano e internazionale, facendo conoscere il festival all’estero.Dal 2009 l’organizzazione di Gong è curata da Distilleria Music Factory che Cavalli Cocchi ha creato insieme a Cristiano Roversi, attiva anche come etichetta discografica, e si svolge a Parma in collaborazione con la Cooperativa Lune Nuove e con il Patrocinio dell’ Assessorato al Benessere e alla Creatività Giovanile del Comune di Parma.

Queste sono cose a cui bisogna partecipare - e bisogna.
Quando il Comune  - o chiunque sia - organizza, fa, decide di investire per la Cultura, la Musica, gli spettacoli in genere.
E, finalmente, non si parla solo di tagli di fondi, di iniziative.
Tagli di idee, alle volte.

Questo è Rhodes:  fate voi.

mercoledì 13 aprile 2011

C'è chi va.

Succede che un caro amico inizi a cercare lavoro all'estero. E inizi a inviare Curriculum.
Succede che l'amico in questione ti chieda consigli per fare colloqui e inizi coerentemente a farli, questi colloqui.
Ad un certo punto succede che l'amico ti dice che ha un colloquio superfigo in una azienda superfiga, a Monaco.
E ci va, a farlo.

Dopo - nonostante passino nel frattempo due mesi - puo' succedere che l'amico ti chiami e ti dica che, ti ricordi quel colloquio superfigo nell'azienda superfiga ecc ecc...ecco. Quello. Sì, esatto. Proprio quello.
Mi hanno preso.

Ed è stato così. E' successo.
Quindi succede - come è facile immaginare - che l'amico, un bel giorno, prende e va.
E questo bel giorno, per la precisione, è oggi.


Si, Sergio, ce l'abbiamo fatta!!!! (Ag'lom cavèda, come dici tu).
Mi rendo partecipe dell'impresa, soprattutto a livello morale (di supporto e di sopportazione, passamela questa).
 
Ti dico due cose due, a cui tengo, sia per ragioni affettive che tecnico-pratiche:

- Evita litigi e polemiche ancora prima di arrivare là (per esempio con i Tedeschi del trasloco di stamattina).
- Guardati bene le spalle, soprattutto anche quando arriveranno a trovarti Lollo, Ste e Samu e dovrete girare insieme.
- Porta con te le t-shirt di David Hasselhoff e quella dei Led Zeppelin. Chè devi avercele, quelle, con te.
(Sai mai che fai una jam session/esibizione live alla chitarra super improvvisata).
- Appunto, suona la tua chitarra, anche se non fai la Jam session, chè fa bene al cuore (e sempre in caso di esibizione non ti fai cogliere impraparato).
- Evita qualsiasi tuo cavallo di battaglia in merito alla Storia italiana e tedesca. Grazie.
- Ricorda sempre il compleanno che abbiamo festeggiato a Monte Baducco, che c'è stato da ridere. Un bel po'.
- Ricordati che il mio compleanno è un giorno dopo del tuo (non te ne sei ricordato mai, ma adesso che vai via avro' più modo di serbare un certo rancore e fartelo pesare. Ti avverto con dovuto anticipo).
- Tieni ben curato il mobile nuovo, che è stato scelto con un certo gusto estetico. Non avrei mai creduto. Scusa per la sottovalutazione in questo frangente. Ma, sai com'è.
- Ricordati di girare il mio CV dovessero cercare una persona da inserire nell'organico del personale.
- Ti stimo. Tanto (Dopo questa sappi che dovrai aspettare almeno un 24 mesi minimo prima di un altra lode e ammirazione pressochè fondata; in quanto non vorrei alimentare le tue affezioni da megalomania).
- Sei il mio piu' grande orgoglio in fatto di persuasione VS la misoginia. Anche se ci ho messo un po'.

- In culo alla balena. Non è carino.
- In bocca al lupo.

- Ti voglio bene.



-Quand'è che mi prendo qualche giorno di ferie per visitare Monaco?








(Comunque vada, non disperare mai. Alla peggio delle ipotesi, c'è l'uscita di sicurezza: vivere di pesca a Malta. E non sarebbe la peggio ipotesi. Ovviamente mi includo nella gestione/amministrazione del baracchino sulla spiaggia).

giovedì 7 aprile 2011

Segnalo Per Noi.

Sempre in merito all'argomento di memorie calcistiche c'è un altro libro molto carino.

Si intitola "Lettera a mio figlio sul calcio" ed è scritto da Darwin Pastorin, uno dei migliori giornalisti sportivi italiani (vedi le trasmissioni che conduce su Stream).
Ha lavorato due anni al Guerin Sportivo, venti a  Tuttosport, è stato direttore della redazione sportiva di Tele+, successivamente di Stream TV e nel settore Sport di Sky Italia. Insomma, due o tre cosette le sa bene, ecco. Solo, c'è da accettare che tifi Juventus. (Pazienza. Facciamo un'eccezione).

Pastorin, nel libro, racconta della sua infanzia in Brasile, della giovinezza a Torino e via in giro per i campi di tutto il mondo, a raccontare il pallone, a capire dov'è che va, a raccontare com'è che si svolgono quei 90 minuti e oltre. I supplementari, il dopo partita, l'allenamento e il pre-partita del weekend successivo. Quando c'è da lottare per un'altra vittoria.
Concepito tra la fiaba e il tracciato di un possibile romanzo di formazione. Due ne sono gli epicentri: San Paolo del Brasile, dove, appunto, nasce nel 1955 (stesso giorno in cui Garrincha esordì nella nazionale verdeoro - vanto cabalistico dell'autore) e Torino, dove si trasferisce con la famiglia nel'61, giusto in tempo per assistere al tramonto della squadra di Boniperti/Charles/Sivori ed innamorarsi, paradossalmente, di una Juve al ribasso guidata da un paraguayano ascetico e insieme maniaco, Heriberto Herrera.

Pastorin racconta al figlio di campioni isolati, sconfitti o vulnerabili (che sono poi quelli con più segreti da carpire) tra cui Riva, Pelè, Maradona e Scirea, a cui dedica anche una monografia.

Una vita a descrivere come il calcio puo' diventare poesia e sublime attività umana.





Ps. da leggere con il sottofondo de La Ola (Mau Mau).

mercoledì 6 aprile 2011

Retroattive e Folkloristiche Memorie Calcistiche Maschili.

Ci sono uomini che scrivono.
Ci sono uomini che pensano.
Ci sono uomini che fanno entrambe le cose. Male entrambe, o bene entrambe. Oppure male una e bene l'altra. A chi ne riesce bene solo una è sempre quella, senza intercambiabilità (chè ognuno ha le sue attitudini).
Poi, a parte, ci sono uomini che giocano a calcio. (Che possono benissimo rientrare in una delle due categorie citate in precedenza, ma - per una questione di classificazione - lo scrivo a parte).

Solitamente, la scrittura è una conseguenza del modo di pensare: considerando pero' una cosa - che, anche se sei in grado di pensare bene - c'è la possibilità (assolutamente non remota) che tu riesca a scrivere delle stronzate colossali.
Un po' perchè non sempre riesci a esprimerti in modo decoroso, corretto, lineare. E il discorso rasenta il livello grammaticale di una intervista ad Alberto Tomba. O Bobone Vieri, se va grassa.
Un po' perchè non riesci a concretizzare attraverso le frasi quello che hai pensato e ne viene fuori una roba che non si puo' leggere. Incomprensibile. Idiota. Ridicola. O peggio, pallosa.

C'è un argomento che amo, di quello che scrivono gli uomini che scrivono bene.
E riguarda le Domeniche trascorse a sudare sui campi di calcio, nelle Giovanili - quando ancora i piedi erano buoni e c'era il fisico per correre dietro al pallone, chè facevi tutta la fascia con uno scatto alla Emerson.
Domeniche dove dovevi dare tutto, chè rischiavi la panchina - e questo non era contemplato nel tuo immaginario personale - per orgoglio anche. Era il momento decisivo in cui doveva - perchè doveva - riuscire quel cazzo di schema che avevate provato e riprovato, te e i tuoi compagni. Il momento di prendere coraggio, determinazione, voglia di correre, di calciare preciso - di esterno magari, all'incrocio dei pali.
E concretizzare così tutte le speranze, i lavaggi del mister, gli allenamenti a -4° con la brina che vedevi appena la palla.
Domeniche di rituali, di mal di pancia al momento di entrare in campo, di crampi e cartellini gialli. Di fuorigiochi insesitenti segnalati alla cazzo da guardalinee affetti da miopia avanzata. Di rigori mai dati, nonostante lo stinco del numero 10 aperto in due, dopo la falciata del difensore. Domeniche di punizioni perfette, alla Del Piero (quasi) e di dribbling riusciti con magistrale padronanza del mezzo. Di tifo che esulta sugli spalti, bandiere, cori dalla sud e di soddisfazioni personali.
Domeniche che capita anche che ti buttano fuori. Perchè capita. E questa è grande amarezza.
Mandi a fareinculo doverosamente tutti mentre fai altre due cose in contemporanea: la prima semplice, ovvero prendi filato le scale dello spogliatoio. La seconda più ardua: cerchi di digerire il trinomio cappelletti-brodo-zampone del pranzo che ti da regolarmente un po' da fare allo stomaco.
(Il mister sono anni che dice di stare leggeri a pranzo ma vabbè, lui forse non ha una nonna. L'avesse, cambierebbe raccomandazione, o starebbe zitto, per coerenza).
 Amo quando, in queste memorie,  trovo le rievocazioni dei nomi-e-cognomi dei compagni di squadra associati a soprannome e rispettivo ruolo - con la descrizione dettagliata di quello che erano soliti fare, delle rispettive prodezze e miserie, sul campo.
Di quello con i piedi buoni, mago della punizione. Di quello che è un mastino e non fa passare nemmeno una mosca. Di quello che ha la freddezza giusta per il rigore. Di quello che si fa sempre buttare fuori, che gli va il sangue al cervello. Di quello bravo a fingere. Di quello piu' diplomatico, motivatore, che ha il senso di squadra e la fascia rossa sul braccio. Di quello che arriva all'allenamento quando gli scatti sono già stati fatti. Di quello buono e quello che non perdona.



C'è un racconto molto carino, di un uomo che, a mio avviso, appartiene alla categoria degli uomini che scrivono bene. E pensano bene. E che ha giocato anche a calcio.
Lo scrittore è Stefano Benni e il racconto è intitolato "Solitudine e Rivoluzione del Terzino Poldo" (tratto dal libro "La Grammatica di Dio").
E e questo è l'incipit:

“Tanti e tanti secoli fa, disse zio Nabucco, giocavo a calcio nel campionato dilettantistico. Molte cose sono cambiate da allora, e quattro in modo assai evidente. E cioè il sottoscritto, il pallone, i campi da gioco e il ruolo del terzino”. Fu Poldo Galilei “a fare la rivoluzione che cambiò il calcio italiano".
Ovunque egli sia, conclude Stefano Benni, "vada a Poldo Galilei, roccioso terzino dolomitico che un giorno osò varcare la linea di centrocampo, la Gloria degli eroi sconosciuti".

(Interessante la descrizione dello zio Nabucco sulla scomparsa del ruolo del terzino nel calcio "di oggi").

quando l’attaccante non aveva la palla, il terzino guardava il gioco con la tranquillità di una mucca…